VACHTANGOV: Teatro d’Arte di Mosca, storie private

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Vachtangov: Teatro d’Arte di Mosca, storie privateVachtangov

da “Il teatro possibile – Stanislavskij e il Primo studio del Teatro d’arte di Mosca“,

ed. La Casa Usher, a cura di Fabio MOLLICA che ringraziamo per il permesso alla pubblicazione

 

Vachtangov
1971 – Francobollo URSS

 

<Lo sai,…io adesso posso comprendere qualsiasi situazione teatrale, qualsiasi idea scenica, con tale facilità come prendere un libro da uno scaffale>.

Con gli occhi di Michail Cechov, nipote di Anton, curiosiamo nella vita quotidiana di Evgenij Bagrationovič Vahtangov (in russo: Евгений Багратионович Вахтангов; Vladikavkaz, 13 febbraio 1883 – Mosca, 29 maggio 1922) , uno dei più importanti esponenti del Primo Studio del Teatro D’arte di Mosca (MChT) 
Vachtangov, si diploma alla scuola drammatica di Adasev e lavora come maestro di recitazione al Teatro dell’Arte di Stanislavskij di cui, in un primo momento, ne segue i principi con la foga mistica di un’asceta e si mette a capo del suo studio. In bilico fra il rigore di Stanislavkij, a cui rimproverava un’eccessiva severità e trascuratezza dei valori formali dello spettacolo, e la convenzionalità di Mejerchol’d, ai cui opposti eccessi era comunque contrario, Vachtangov perfezionò il sistema Stanislavskij consapevole dell’inadeguatezza del realismo psicologico, rispetto alle nuove esigenze dello spirito rivoluzionario, a cui aderì dopo la Rivoluzione d’Ottobre.

Vachtangov è uno dei più importanti esponenti del Primo Studio del Teatro D’arte di Mosca (MChT) insieme a Sulerzickij (Suler) di cui abbiamo già pubblicato: Sulerzickij: Teatro d’Arte di Mosca, storie private e Suler scrive a Stanislavskij

Buona Lettura



 

Vachtangov

URSS – CIRCA 1983: il ritratto di un EB Vachtangov (1883-1922), attore e produttore

 

Vachtangov: Teatro d’Arte di Mosca, storie private

da ” Di Sulerzickij , di Vachtangov” di Michail Cechov

Il teatro possibile – Stanislavskij e il Primo Studio del teatro d’Arte di Mosca 

ed. la Casa Uscher, a cura di Fabio Mollica

…Oltre a1 nostro comune lavoro teatrale, dove egli (Vachtangov) era il mio maestro, e malgrado i suoi impegni, trascorrevamo spesso insieme delle ore in discussioni o lazzi. I nostri lazzi avevano sempre un carattere particolare. Solitamente Vachtangov inventava un qualche ‘ trucco’, e noi lo rielaboravamo per ore, raffinandoci sempre più in abilità e scorrevolezza nella sua realizzazione. I ‘trucchi’ solitamente non erano complessi. Ad esempio: rappresentare un uomo che desidera infilare un cerino in una bottiglia vuota e lo lascia cadere oltre il collo. Non se ne accorge e si meraviglia vedendo il cerino per terra, supponendo che sia passato in qualche strano modo attraverso il fondo della bottiglia.
(…)

Vachtangov era un esperto del ‘sistema’ di K. S. Stanislavskij. Nel suo insegnamento il ‘sistema’ riviveva, e noi iniziavamo ad apprendere la sua effettiva forza. Il genio pedagogico di Vachtangov creava in questo senso dei miracoli.

Ed insegnando a noi, Vachtangou medesimo cresceva con straordinaria velocità,

<Lo sai,> mi disse poco tempo prima di morire <io adesso posso comprendere qualsiasi situazione teatrale, qualsiasi idea scenica, con tale facilità come prendere un libro da uno scaffale>.

Effettivamente maturava le proprie idee teatrali letteralmente davanti ai nostri occhi. Nel suo linguaggio crescevano spontanei gli aforismi quando parlava del teatro, con noi o con gli allievi del suo Studio.

Il suo talento registico è conosciuto da tutti per le sue messe in scena. Ma questo è soltanto un a parte: l’altra sta nel manifestarsi del genio registico di Vachtangov nel suo lavoro con gli attori, nel processo di realizzazione della pièce.

Il problema del rapporto tra regista e attore è complesso e difficile. Si potrebbero tenere decine di lezioni su questo tema, ma non porteranno a nulla, se il regista non possiede un particolare sentimento dell’attore. E questo sentimento Vachtangov lo possedeva pienamente. Egli ne parlava come di un sentimento che esiste quando si conduce l’uomo per mano, e con attenzione e pazienza lo si porta li dove si vuole. Come fosse invisibile, si pone accanto all’attore e lo conduce per mano, L’attore mai ha percepito violenza da parte di Vachtangov,  ma non poteva sottrarsi al suo progetto registico. Realizzando gli obiettivi ed’i progetti di Vachtangov I’attore li percepiva come propri.

Questa straordinaria capacità di Vachtangov eliminava il problema di a chi spetti la parola decisiva nella figurazione della parte: se all’attore o al regista.

E bisogna rallegrarsi che ancora fino ad oggi la questione non sia stata decisa ‘teoricamente’, altrimenti registi dispotici e attori testardi male interpreterebbero qualsiasi decisione. Vachtangov risolse la questione in modo pratico. E questa risoluzione sta nell’umanità dello stesso Vachtangov, nella capacità di penetrare nell’altrui spirito e parlare la sua lingua. E possibile convincere un uomo di molte cose, parlando con lui nella sua lingua, nella lingua del suo spirito. Vachtangov sapeva fare questo. Egli non fu mai sentimentale con gli attori, e gli attori mai impedirono i suoi progetti con capricci e testardaggini.

Per questo, per diventare un regista del tipo di Vachtangov bisogna possedere umanità e particolare attenzione verso gli altri in genere. Qui di nuovo s’incontrano il problema dell’arte e il problema della morale.

Vachtangov possedeva ancora un’insostituibile qualità per il regista: sapeva mostrare all’attore di cosa si compone il disegno di base del suo personaggio. Egli non mostrava il personaggio per intero, non lo recitava al posto dell’attore, egli lo mostrava, ne recitava lo schema, la trama, il disegno. Realizzando Erik XIV, mi mostrò il disegno della parte di Erik, nello spazio di un intero atto della pièce, spendendo su questo non più di due minuti. Dopo la sua dimostrazione a me divenne chiaro tutto l’atto in tutti i dettagli, sebbene Vachtangov non li avesse considerati. Egli aveva la particolare capacità di mostrare.

(…)

Grazie a questa straordinaria capacità di Vachtangov, alle sue prove si parlava molto poco. Tutto il lavoro scorreva nelle dimostrazioni, nei personaggi dimostrati ecc. Comprendeva benissimo che se l’attore parla molto della sua parte, accade che tirerà per le lunghe durante le prove. Attori e registi debbono elaborare una particolare lingua di lavoro. Essi non hanno diritto di giudicarsi l’un l’altro durante il processo di lavoro. Debbono imparare ad incarnare le proprie idee e i propri sentimenti nei personaggi, e propagarsi con questi personaggi, sostituendo le lunghe, noiose e inutilmente colte discussioni sul personaggio, sulla pièce ecc. Credo con forza che arriverà il momento in cui gli attori capiranno che i supplizi e i tormenti legati alla loro professione derivano, nella maggior parte dei casi, dai metodi non artistici per I’elaborazione di opere artistiche.

Infine Vachtangov possedeva ancora un’altra straordinaria qualità: sedendo in sala durante le prove, sentiva sempre la sala come fosse piena di pubblico. E tutto ciò che accadeva davanti a lui sulla scena, gli si rifrangeva attraverso l’impressione del pubblico immaginato, che riempiva la sala. Egli costruiva la pièce per il pubblico, ecco perché le sue pièce erano sempre convincenti e comprensibili. Non soffriva di quella malattia registica che è così estesa ai nostri giorni e che porta il regista a realizzare la pièce esclusivamente per se stesso.

I registi che soffrono di questa malattia sono privi del sentimento del pubblico, e quasi sempre si avvicinano alla propria arte soltanto intellettualmente.

Soffrono di una particolare forma di egoismo intellettuale.

Vachtangov, in parte sotto l’influenza di Mejerchol’d, in parte grazie all’attitudine del suo talento, sempre più si allontanava dal naturalismo. Egli ci condusse dapprima attraverso la ‘stilizzazione’, ad esempio in Erik XIV, dopo ci contagiò con la ‘teatralità’, rivelata nel modo più chiaro in La principessa Turandot (realizzato nel suo Studio). Io ero incline all’indirizzo di Vachtangov. A Stanislavskii questo non piaceva, e diverse volte mi chiamò a discutere con lui sull’ indirizzo che mi appassionava. (Il suo disappunto nei miei riguardi si esprimeva nel fatto che egli iniziava a chiamarmi non Misa, come prima, ma Michail Aleksandrovic).

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Brani tratti da Cechov, 1928, p.66 e ss,

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