STANISLAVSKIJ Konstantin Sergeevic

Konstantin Sergeevic STANISLAVSKIJ Konstantin Sergeevic STANISLAVSKIJ

(Mosca 5 gennaio 1863 – 7 agosto 1938)

Stanislavskij è stato uno degli inventori della regia…

Le sue scoperte, passate sotto il nome di “sistema”, hanno cambiato il modo di accostarsi alla recitazione, sia da parte di chi la pratica, sia da parte di chi la studia o soltanto la osserva.


VIDEO: BREVE BIOGRAFIA

STANISLAVSKIJ : Biografia artistica essenziale

La presente nota biografica è tratta dall’Introduzione al volume “Stanislavskij. Dal lavoro dell’attore al lavoro su di sé”, del Prof . Franco Ruffini, Laterza editore.

L’introduzione completa è pubblicata su Quaderno di Nessuno: saggi/documenti/letteratura  nov/dic 2009, Volume 8, No. 48 » F. RUFFINI: Stanislavskij maestro


Konstantin Sergeevic STANISLAVSKIJStanislavskij nasce a Mosca il 5 gennaio 1863.

Secondo figlio di una schiera di dieci in una famiglia di ricchi e illuminati imprenditori, gli Alekseev, cambiò il nome in S. nel 1884, all’ingresso nel professionismo teatrale. Nel suo ambiente d’origine, il teatro non era considerato un’attività di cui andare fieri. La nonna materna, Maria Varley, era stata un’attrice, approdata in Russia durante una tournée con una compagnia francese. Innata o ereditata, la passione per il teatro segnò tutta la vita di S., dall’infanzia all’adolescenza, fino alla giovinezza e alla maturità artistica, secondo le scansioni in cui lo stesso S. suddivide la sua vita, nell’autobiografia. L’infanzia è la stagione delle serate al circo, del teatro di marionette, dell’opera italiana, del balletto classico. Già in queste frequentazioni infantili e adolescenziali, si rivela quella che sarà la concezione di S. , di un attore che deve saper fare tutto. A questa voracità teatrale soccorrevano con generosità le ricche finanze paterne.
Nel 1877 viene inaugurato il teatrino di Ljubimovka, la casa di campagna, e nasce il “circolo Alekseev”, nel quale in vari ruoli era impegnata l’intera famiglia. Uno degli ultimi spettacoli fu Mikado, di Gilbert e Sullivan, per preparare il quale S. ospitò per molti giorni come maestri una troupe di acrobati giapponesi, di passaggio con un circo. Nel 1888, con Aleksandr Fedotov, noto attore e uomo di teatro, inaugura la “Società di Arte e di Letteratura”. Comincia la stagione professionale – anche con le prime prove di regìa – in cui S. attore sperimenta, e patisce, tutti i gradi dell’imitazione. L’esperienza più significativa di questo periodo è l’Otello, del 1896. Alle prese con la dismisura della tragedia shakespeariana, S. imparò a sue spese che non si può forzare il sentimento. La via per la “condizione creativa” è una via conscia, ma verso l’inconscio.
Nel 1897 si verifica la svolta decisiva. In un memorabile incontro con Vladimir Nemirovic-Dancenko, noto critico teatrale e affermato drammaturgo, prende corpo il progetto del

Teatro d’Arte di Mosca.

“Una conferenza internazionale non esamina i suoi importanti problemi con la precisione con cui noi allora esaminammo le basi della futura impresa, i problemi di arte pura, i nostri ideali artistici, l’etica del teatro, la tecnica, i piani di organizzazione, i progetti del futuro repertorio, i nostri approcci reciproci”, ricorda S. (4). L’inaugurazione avvenne l’anno dopo, con Zar Fedor. Tra i tanti spettacoli delle prime stagioni: Il gabbiano di Cechov (1898), che se non cronologicamente è il battesimo simbolico del teatro, Bassifondi di Gor’kij (1902), Il giardino dei ciliegi (1904). Si precisa l’immagine di S. regista, dallo stile basato sui toni melanconici, l’accurato realismo e le vivide scene di massa. Nel 1905 c’è il tentativo di uno Studio con Mejerchol’d, per mettere alla prova le suggestioni del simbolismo. Sono le prime prove di improvvisazione, di un diverso rapporto con il testo: ma sono prove premature, e la strada di Mejerchol’d aveva punti di partenza troppo distanti da quelli di S.. Lo Studio chiude lo stesso anno. Nel gennaio 1906 la compagnia del Teatro d’Arte parte per la prima tournée all’estero. A Berlino le fu decretato un vero trionfo. In particolare, fu apprezzata l’interpretazione di S. nel personaggio del Dottor Stockmann, in Un nemico del popolo di Ibsen, che da più di cinque anni era un sicuro cavallo di battaglia. Di ritorno dalla tournée, S. si concede una breve vacanza in Finlandia. E’ li, da un leggendario scoglio in riva al mare, che nasce il “sistema”.


STANISLAVSKIJ: Lo “scoglio in Finlandia”

Konstantin Sergeevic STANISLAVSKIJDel Dottor Stockmann S. ricorda: “dopo aver letto l’opera, la capii immediatamente, la rivissi, e recitai la parte già alla prima prova”. Aggiunge: “L’anima e il corpo di Stockmann e di S. si fondevano organicamente l’uno con l’altro” (5). Ma, dallo “scoglio in Finlandia”, Stanislavskij si rende conto che l’organica fusione non c’è più: il corpo è restato solo. I gesti, gli atteggiamenti del personaggio si ripresentano invariati, ogni sera in scena, ma questo accade per pura “memoria dei muscoli”. I ricordi, le vive emozioni che giustificavano quelle azioni, sono perduti. “Come preservare la parte [da questa] graduale morte spirituale?”, si chiede. Si chiarisce definitivamente la differenza – in realtà, l’opposizione – tra “condizione dell’attore” e “condizione creativa”. “L’attore – scopre S. – prima di tutto deve credere a tutto ciò che avviene intorno a lui e principalmente a ciò che egli stesso fa. Ma si può credere soltanto alla verità. Perciò è necessario sentire continuamente questa verità” (6). Sentire la verità della scena come se fosse la verità reale. Ad attivare per via tecnica questo “come se”, S. dedicherà gran parte della sua ricerca sul “sistema”, cercando di indurre prima di tutto “l’anima a credere”. Salvo a rendersi conto, più tardi, che “se il corpo non incomincia a vivere, l’anima non crede” (7). Dopo quella dello “scoglio in Finlandia”, sarà l’altra rivoluzione nella vita nell’arte di S. .

Negli anni successivi, gli spettacoli sono soprattutto tappe nella graduale crescita del “sistema”. Il Dramma della vita di Hamsun (1907) – con La vita dell’uomo di Andreev, dello stesso anno, e Un mese in campagna di Turgenev (1909) – sancisce definitivamente che non esiste azione esteriore per sé: l’azione esteriore è indissociabile da una corrispondente azione interiore. Nel 1911 debutta Amleto, allestito con la regìa di Gordon Craig. Un grande evento, all’insegna di quel lungimirante egoismo che era la generosità di S. . La diffidenza per l’attore, se non portato alla perfezione della “supermarionetta”, di Craig, non poteva conciliarsi con la cura pedagogica che S. aveva proprio verso l’”umanità” dell’attore. Il vero banco di prova del “sistema” fu il Primo Studio. Inaugurato nel 1912, a dirigerlo S. chiamò l’amico Leopol’d Suleržickij, che non vantava una grande esperienza di teatro ma che aveva una profonda esperienza di uomini. Ai giovani allievi dello Studio, Suleržickij non portava la conoscenza di trucchi del mestiere; seppure, portava l’insofferenza per quei trucchi, il senso di una necessità etica, prima che professionale, di cercare la verità. A rendere famoso il Primo Studio, creando le premesse per la sua dissoluzione, fu Il grillo del focolare, riduzione da Charles Dickens andato in scena il 24 novembre 1914. Un inno, commosso e intimo, alla bontà dell’uomo; ma anche un trionfo di pubblico e critica, purtroppo. Al Primo Studio seguirono il Secondo Studio, lo Studio Čechov, guidato dall’attore Michail, nipote del grande drammaturgo, lo Studio Vachtangov, e altri: in una visione di teatro che sempre più si allontanava di fatto dallo spettacolo come prodotto per privilegiare invece il processo di crescita verso lo spettacolo. Fino alla rivoluzione d’ottobre, oltre alle difficoltà della guerra, ci furono quelle di un lavoro d’attore sempre più impegnato – e a volte invischiato – nell’analisi e nel perfezionamento degli strumenti messi in campo.


STANISLAVSKIJ: La “tragedia del Villaggio Stepančikovo”

Quando, l’11 gennaio 1916, cominciano le prove del Villaggio Stepančikovo, di Dostoevskij, Stanislavskij è da poco reduce da Mozart e Salieri, di Puškin. Quello spettacolo gli aveva dimostrato che non basta che “l’anima creda”; e gli aveva fatto intuire anche la decisiva importanza della musica, o di un suo equivalente funzionale. Il Villaggio Stepančikovo fu il drammatico punto di svolta tra un modo di operare affidato alla reviviscenza, e una nuova via in cui fosse il “corpo che vive” ad indurre l’anima a credere. Per ogni più piccola sezione della parte, S. cercò di immergersi a fondo nelle “circostanze date” del personaggio, e solo come risposta alla domanda su come avrebbe agito lui, l’attore, far scaturire l’azione. Sebbene l’accento si spostasse sull’azione, la dipendenza dallo stato emozionale – nel groviglio di circostanze date che lo determinano – restava decisiva. S. lavorò, per la sua parte e per la parte del collega Moskvin, un anno intero. Senza successo. E per giunta, nel dicembre 1916 era morto l’amico fraterno Suleržickij. Nel febbraio 1917, Nemirovic-Dančenko, quale condirettore del Teatro d’Arte, decise di intervenire energicamente per salvare lo spettacolo. Lavorò a lungo e con pazienza, ma alla prova generale del 28 marzo 1917, S. non ce la fece quasi a portare a termine la rappresentazione, tanto grande era lo sforzo di vivere continuamente dentro il mondo del personaggio. Nemirovic-Dancenko gli tolse la parte, e l’affidò ad un altro attore. Si concludeva, così, uno scontro in cui le due parti avevano ciascuna diverse facce. C’era quella caratteriale di S. contro Nemirovic-Dancenko, tra i quali – dopo lo storico incontro del 1897 – non avevano tardato a manifestarsi profonde divergenze artistiche, specie dopo l’”infatuazione” di S. per il “sistema”. C’era quella di un approccio letterario e filologico contro un approccio scenico e operativo verso lo spettacolo. E c’era soprattutto lo scontro tra un “sistema” che cominciava ad irrigidirsi sul primato dell’”anima che crede”, ed un “sistema” invece che si disponeva a rinunciare a un tale primato, per assicurarne l’obiettivo essenziale. Per essere fedele alla sua ricerca, contro l’insorgente ortodossia, S. pagò il prezzo più cocente per un attore della sua esperienza e della sua fama. Lo pagò con assoluta disciplina. Si concesse solo di non dare alle stampe il capitolo per il quale aveva cominciato a prender note, dal titolo Il Villaggio Stepančikovo. La mia tragedia.

Dal 1918 al 1922 Stanislavskij lavora al teatro Bol’šoj creandovi uno Studio operistico, con lo scopo di insegnare ai cantanti come muoversi in scena. Il 15 giugno 1922 va in scena l’Eugenio Onegin. La rivoluzione, oltre alle difficoltà materiali, aveva ingabbiato Stanislavskij anche con la responsabilità di una fama che non sentiva in armonia né con le sue inclinazioni né, soprattutto, con la sua solidarietà al nuovo regime.

Dal 1922 al 1924 c’è la grande tournée euro-americana. Partenza il 4 settembre 1922; tappa a Parigi, dove per la partenza Jacques Copeau pronuncia un discorso in onore del grande maestro russo. L’arrivo a New York è nel gennaio ’23. Giro, tra le altre città, a Chicago, Filadelfia, Boston. Dopo un intervallo in Europa, nuovo sbarco a New York nel novembre ’23. Il 20 marzo 1924, S. e la compagnia del Teatro d’Arte vengono ricevuti dal Presidente Coolidge. Rientro a Mosca l’8 agosto 1924. Già famoso in partenza, il giro consolidò la consacrazione di S. , fino alla fissità di un’icona. Comincia la stagione di scrittore – My Life in Art è del 1924 – nella sua duplice vicenda, tra America e Russia.

Dopo il ritorno dall’America, l’impegno per la messa in scena di spettacoli si fa decisamente meno intenso rispetto al passato. C’è, nel 1926, il trionfo dei Giorni dei Turbin di Michail Bulgakov, divenuto collaboratore del Teatro d’Arte, che Stanislavskij cercherà inutilmente di ripetere, nel 1932, con la riduzione di Anime morte di Gogol, e con Molière, del 1936. C’è Il matrimonio di Figaro, del 1927. Quanto all’attività pedagogica, nel 1926 lo Studio operistico si trasforma nello Studio Stanislavskij. Oltre alla messa in scena di opere, vi continuano le ricerche sul lavoro dell’attore. Nel 1935, S. dà vita al suo ultimo Studio, lo Studio operistico drammatico. Nel segreto della sua casa, tra il sentore dei medicinali coi quali riusciva a sopravvivere all’infarto che lo aveva colto in scena nel 1928, con pochi allievi ai quali consegnare la sua conoscenza, S. rivoluziona il “sistema” di cui aveva scritto e che, senza rinnegarlo né contraddirlo, vedeva ora, alla fine della vita, come un punto di partenza per continuare la sua ricerca.

(“Sistema”, l’abbiamo sempre scritto tra virgolette. S. , in aggiunta, premetteva cosiddetto, per marcare meglio la distanza tra il suo pensiero e quello che già in vita paventava gli venisse indebitamente attribuito come suo.)

Stanislavskij muore a Mosca il 7 agosto 1938. Tartufo, sul quale si era concentrato l’ultima attività dello Studio, andò in scena il 4 dicembre 1939.

Potrebbero interessarti anche...

Seminario Teatrale Il Gesto PSICOLOGICO

Roma 18 - 19 maggio 2024, 10 ore di lavoro – ISCRIZIONI


Seminario Teatrale Il Gesto PSICOLOGICO

da Stanislavskij a Grotowski e all’ Odin Teatret di Eugenio Barba - seminario diretto da Sandro Conte

 

“Bisogna ammettere nell’attore l’esistenza di una sorta di muscolatura affettiva corrispondente alla localizzazione fisica dei sentimenti” (A. Artaud; Il teatro e il suo doppio, pag 242).

 

Dal momento che il gesto psicologico è composto dalla volontà, permeata di qualità, può facilmente comprendere ed esprimere la completa psicologia del personaggio.

 

Ti aspettiamo

Questo si chiuderà in 20 secondi