La Parola nel Teatro delle Azioni Fisiche

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seminario teatrale costruzione del personaggioLa Parola nel Teatro delle Azioni Fisiche

Una nota di Sandro Conte

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Teatro di Parola e Teatro delle Azioni Fisiche sono solo in apparenza ai capi estremi di una linea immaginaria, in realtà ognuno entra nella sfera d’azione dell’altro.
Scrive Mikhail Cechov, il nipote di Anton Cechov il notissimo drammaturgo: “La Parola è un gesto trasformato in suono”.

Buona lettura



La Parola nel Teatro delle Azioni Fisiche

Una nota di Sandro Conte

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Teatro di Parola e Teatro delle Azioni Fisiche sono solo in apparenza ai capi estremi di una linea immaginaria, in realtà ognuno entra nella sfera d’azione dell’altro.

Scrive Mikhail Cechov, il nipote di Anton Cechov il notissimo drammaturgo:

La Parola è un gesto trasformato in suono

Dunque il gesto, noi potremmo dire l’Azione Fisica, precede la parola e quasi la plasma.

La parola è funzione dell’azione che la precede.

L’attore lavora con la parola, ma prima che con la parola lavora con il corpo.

Ad uno spettatore che assista ad uno spettacolo quello che arriva per primo è quello che l’attore fa in scena, solo successivamente quello che dice.

Questo perché l’azione quasi sempre, almeno nel nostro mondo occidentale, non passa attraverso la cultura ed è facilmente comprensibile: se l’attore ride o piange il senso arriva allo spettatore subito, diretto, senza mediazioni culturali.

La lingua invece passa attraverso la cultura. Se l’attore si esprime in una lingua sconosciuta la comprensione sarà difficile, se non impossibile, a meno che lo stesso attore non utilizzi anche il corpo per veicolare le sue parole.

Ma anche se l’attore si esprime in una lingua a noi molto nota i diversi livelli di comprensione passano attraverso la cultura di chi parla e quella di chi ascolta. Possiamo dunque ribadire che quello che arriva per primo allo spettatore è quello che l’attore fa in scena, solo successivamente arriva allo spettatore quello che l’attore dice.
Di conseguenza l’attore lavora prima di tutto con il corpo e poi con le parole.

Eppure le parole hanno il loro peso, la loro importanza, che l’attore, il regista o il pedagogo dovrebbero conoscere.

Prendiamo ad esempio i saluti.

BUONGIORNO non è SALVE e non è CIAO

A volte la mattina, magari ancora un po’ assonnati, incontrando qualcuno ci capita di dire un buongiorno incomprensibile, biascicando un…giorno…o emettiamo un suono simile che sembra assomigliargli…in realtà non abbiamo voglia di dire la parola buongiorno scandendola bene, ma per cortesia o convenienza salutiamo o rispondiamo al saluto con un suono che ad un interlocutore altrettanto distratto potrà sembrare un buongiorno.

Ma invece Buongiorno è una parola impegnativa, formata da Buono e da Giorno.

Un tempo si diceva “buono come il pane”, quindi dire a qualcuno Buongiorno è come dire: “che la tua giornata sia buona come il pane appena sfornato” e nel pronunciarla sentire nell’aria quel fragrante profumo di pane caldo, come quando passiamo davanti ad un forno e ne sentiamo l’inconfondibile profumo.

Ma c’è anche Giorno. Il giorno con la sua luce consente la vita delle piante, degli animali, di noi stessi e di tutto ciò che vive, senza non ci sarebbe vita. Quindi augurare Buongiorno è come dire “che la tua giornata sia buona e profumata come il pane appena sfornato e forte come il giorno che mi consente di essere qui, vivo, insieme a te”.

Buongiorno è una parola impegnativa.

Mentre se invece di Buongiorno dico Salve, dal latino Salvere, è un augurio di buona salute: “…che la tua giornata sia piena di salute”.

Se invece dico il più confidenziale Ciao, il termine deriva da schiavo che diventa “s’ciavo” che diventa “s’ciao” che diventa “ciao” .

Nelle commedie di Goldoni si ritrova l’espressione “schiavo vostro” o “servo vostro”, e lo stesso senso si ritrova nella formula tedesca di cortesia “servus”, che significa la stessa cosa.

Dunque per l’attore, il regista o il pedagogo deve essere molto diverso trovare nel testo, come formula di saluto: Buongiorno, Salve o Ciao e ne dovrebbe conoscere l’origine, la natura, la provenienza, l’essenza.

Buongiorno non è Salve e non è Ciao

Ma lasciamo i saluti e facciamo un altro esempio sulle parole che richiamano la memoria

RICORDARE – RAMMENTARE – RIMEMBRARE

In Italiano il richiamare alla propria memoria si esprime con ricordare, ma anche con rammentare o con rimembrare.

Oggi, nell’uso corrente, quasi tutti utilizziamo esclusivamente ricordare. Rimembrare è in disuso ed anche rammentare si usa poco.

Ma per l’attore quali sono le differenze tra queste parole ?

Ricordare è quando la memoria passa attraverso il cuore: la sfera dei sentimenti.

Rammentare è quando la memoria passa attraverso la mente, la sfera della ragione.

Rimembrare è quando la memoria è talmente profonda da essere penetrata dentro di me così in profondità da essere arrivata fin dentro le ossa.

A tutti saranno venuti in mente i versi di Leopardi:

“Silvia rimembri ancor…”

Leopardi non scrive “Silvia ricordi ancor…” e neanche “Silvia rammenti ancor…”, ma scrive invece “Silvia rimembri ancor…”. Dunque per Leopardi la memoria di Silvia è così intensa da essere penetrata fin dentro le ossa del poeta e se è così profonda sarà difficile dimenticarla.
Se invece avesse scritto “Silvia ricordi ancor…”, la sfera dei sentimenti è certamente più labile e dunque il ricordo di Silvia sarebbe potuto svanire, con il rimembri non può svanire: è indelebile.

Dunque l’attore, il regista o il pedagogo lavorano prima di tutto col corpo, come detto all’inizio di questo breve scritto, ma poi quando affrontano le parole ne dovrebbero conoscere il peso o la leggerezza, il profumo o il puzzo, chiedersi dove corre la propria mente quando pronunciano una parola o un’altra e cercarne l’origine, la falda da cui sgorgano, come cercassero un tesoro sconosciuto esplorando fin lì dove nasce l’arcobaleno o come nell’ ’800 quando si cercavano le mitiche sorgenti del Nilo.

I Kabbalisti ci forniscono un ulteriore riflessione

” …I Kabbalisti attribuivano valore creativo alle parole. Ciascuna combinazione di simboli alfabetici ha un suo valore ideale proiettato sullo sfondo dell’eternità. Impadronirsi del senso profondo delle parole significa, quindi, in realtà, impadronirsi anche delle loro potenzialità creative. In pratica, significa assumere prerogative divine. Il Dio della Bibbia, infatti, fermò il mondo e diede vita a tutte le cose – a partire dalla luce – semplicemente formulandone il nome: << E disse Dio:”E luce sia”. E Luce fu >>.

( da Il simbolismo Kabbalistico del Golem di Gianni Pilo/Sebastiano Fusco – Ed: tascabili economici Newton)

Nel concludere questa breve nota sono in imbarazzo: potrei scrivere arrivederci, o forse ciao, o forse…me la cavo con un banale Saluti.


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