Alla radice del Primo studio del Teatro d’arte di Mosca

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Konstantin Sergeevic STANISLAVSKIJAlla radice del Primo Studio del Teatro d’Arte di Mosca

Dall’ultimo capitolo del volume

“Il Teatro possibile – Stanislavskij e il Primo Studio”

a cura di Fabio MOLLICA

“Alla radice del Primo studio del Teatro d’arte c’è il desiderio di Stanislavskij…di verificare un suo ‘sisterna’ che sia utile alla creatività dell’attore; c’è l’istanza…di dare ai giovani la possibilità di crescere e maturare in un luogo separato dall’Istituzione, cioè da quella particolare organizzazione produttiva che apparteneva…ad un modo di fare teatro soddisfatto dei risultati ottenuti, che poco spazio lasciava alle esigenze di rinnovarnento poste da Stanislavskij e alle necessità dei giovani di elaborare un proprio percorso…”

Ringraziamo Fabio MOLLICA per il permesso alla pubblicazione

Buona Lettura



Alla radice del Primo Studio del Teatro d’Arte di Mosca

Dall’ultimo capitolo del volume

“Il Teatro possibile – Stanislavskij e il Primo Studio”

a cura di Fabio MOLLICA

 

La storia del Primo studio inizia quando Stanislavskij rimette in discussione ii proprio modo di essere vivo nel teatro, quando procedimenti e tecniche, che pur hanno fatto grande II Teatro d’arte, iniziano a sentire l’usura del tempo e si scierotizzano in abitudine, quando la passione rimane intaccata dalla noia della ripetitività e I gesti del lavoro quotidiano non richiamano piü alcun piacere. Per S. e la necessità di ritrovare uno <<stato felice>> al suo essere uomo di teatro.
Lo Studio nasce allora come luogo dove poter verificare le possibilità di una nuova dimensione per il lavoro dell’attore. Si sviluppano cosi i primi tentativi di S. per definire un ‘sistema’ che apra all’attore la strada per una creatività piena e cosciente. Attraverso la pratica delle esercitazioni con gil studijcy S. cerca di riformulare i principi di un’arte, quella dell’attore, che ormai pone indiscutibilmente al centro deil’esistenza del teatro. E questo non accade per formulazione teorica di principio, ma per profondo ripensamento di tutta la propria esperienza di teatro. Stanislavskij, tra la fine del secolo e ii 1911, ha ricercato lungo le direzioni possibii soluzioni sceniche atte a dare uno spazio utile alla recitazione dell’attore. Nascerà da questo l’insoddisazione dell’uomo-attore verso la complessita di un disegno registicoscenografico che relega ad un ruolo secondario — di volta in volta sempilce pedina, interprete, simbolo — la creatività dell’attore; quasi una ribellione nei confronti di quella sorta di alienazione imposta dalla appena nata Regia alla centralità creativa dell’attore nell’arte teatrale.
Potrà apparire un ossimoro che l’uomo consegnato alla Storia quale uno tra i principali padri fondatori della Regia si riveli come nucleo propulsore di una nuova dimensione dell’attore inteso come perno essenziale dell’evento teatrale. In effetti è proprio lo S. che crea le prospettive della ‘studieita’, che verifica un suo itinerario verso l’esaltazione delle virtuailtà creative dell’attore e la definizione dei principi che sottostanno a quest’arte, che permetterà un taglio storiografico che distingua tra registi-interpreti e registi-pedagoghi. La pedagogia teatrale e qui feconda esaltazione di un continuo processo di invenzione del teatro vissuta attraverso l’organizzazione di nuclei attorici saldati nella ricerca di tecniche e principi relazionali sempre e soltanto propri; e questa pedagogia teatrale ha negil Studi — tra Mosca e Pietroburgo, dal 1912 al 1914, con gil Studi di Stanislavskij, Mejerchol’d e Komissarzevskij — il momento storicamente determinato (e che si rivelerà deterrninante) della sua origine. Non è un caso che, al di là delle peculiarità dei diversi interessi che animavano gli artefici, la traccia del mito della Commedia dell’arte e delle tecniche dell’irnprovvisazione percorra questi Studi trasversalmente. E’ l’esaltazione, insieme, del collettivo e dell’individualità attorica come fondamento di un processo creativo possibile per la generazione di ‘nuovi attori’, condizione necessaria per l’edificazione di un ‘nuovo teatro’.
Alla radice del Prirno studio del Teatro d’arte c’è il desiderio di S., umanamente legato alla sua individualità di attore, di verificare un suo ‘sisterna’ che sia utile alla creatività dell’attore; c’è l’istanza, eticamente fondata, di dare ai giovani la possibilità di crescere e maturare in un luogo separato dall’Istituzione, cioè da quella particolare organizzazione produttiva che apparteneva ad una generazione di uornini di teatro e ad un modo di fare teatro soddisfatto dei risultati ottenuti, che poco spazio lasciava alle esigenze di rinnovarnento poste da Stanislavskij e alle necessità dei giovani di elaborare un proprio percorso; ma contemporaneamente non isolato da quella grande cultura teatrale maturata dal MChT. Un luogo, insomma, di possibile osmosi tra la dimensione di una tradizione fatta di tecniche acquisite e comportamenti ‘sperimentati’, e la tensione alla ricerca, attraverso il sistema e una diversa organizzazione delle relazioni di lavoro.
Tutto questo è alla radice del Primo studio, ma l’incontro di Stanislavskij con un uomo quale Sulerzickij, e la scelta di porlo a guida degli studijcy genera una tensione nuova nd suo sviluppo. Sulerzickij portò allo Studio un progetto che voleva essere l’acme di tutta la sua esistenza: la comune teatrale. Quando gli allievi di allora ricorderanno Sulerzickij sottolineeranno la sua irnportanza nel portare la vita li dove era solo chiuso ambiente di teatro; Pavel Markov delineando, nel suo saggio del 1925, l’essenza della sua influenza nel lavoro dello Studio, userà il termine vneesteticeskij, cioe qualcosa di esterno all’estetica, qualcosa che rimanda ai rapporti che legano i membri del gruppo durante il tempo di lavoro, ma anche oltre. Sulerzickij porta l’esigenza che il nuovo attore nasca da un uomo nuovo: nel suo fare teatro pulsa una vita trascorsa al servizio di quella ‘religione dell’uomo’ che lo ha visto accettare la prigione per rifiutare il servizio militare, solcare piu volte l’oceano per salvare in Canada le comunità dei Duchobory vessate dal potere zarista, subire l’esilio per attività politica <<illegale>>: cercare I’umanità’ nell’uomo è la pratica di vita perseguita con rigore da Sulerzickij nel corso della sua esistenza, imbarcato come mozzo tra i rnarinai, contadino tra i contadini della sua Crimea e negli anni duri dell’esilio. Giungendo al teatro, attirato dalla speranza di potervi trovare un luogo per realizzare i sogni della sua vita, Sulerzickij investe tutta l’esperienza umana acquisita affinché si radichi nella coscienza dell’attore l’inscindibilità della sua dimensione professionale da quella puramente umana. La dignità, l’etica dell’uomo e dell’attore devono essere una sola cosa, perché solo l’uomo nuovo potrà generare il nuovo attore, l’artefice di un teatro del futuro, luogo organicamente necessario ad una società diversa, piü umana. Per Sulerzickij il teatro diviene il mezzo concreto di una proiezione utopica nel presente, e il progetto della comune teatrale — con i giovani dello Studio uniti nel lavoro della terra e nella costruzione delle case, nell’allestimento degli spettacoli e nella socializzazione <<extraspettacolare>> con gli spettatori invitati a compiere un’esperienza più complessiva all’interno della vita della comune — vuole essere la forma impressa a questo mezzo.
II Primo studio nasce dall’incontro dell’opera di due uomini diversi per cultura, stato sociale, professione, ma che posseggono un punto d’incontro forte: riconoscono la centralità dell’uomo-attore nell’arte teatrale e l’importanza della qualità delle relazioni tra i soggetti attivi in un’esperienza del teatro — siano qulle degli artisti nel tempo di lavoro delle prove, siano quelle di attori e spettatori nd tempo della rappresentazione.
Stanislavskij e Sulerzickij iniziano l’impresa dello Studio ricercando, con modi diversi che testimoniano di vite eterogenee, la fattibilità di un teatro che possa vibrare pienamente delle loro istanze etiche ed estetiche; la presenza degli studijcy, e la tensione generata dal loro graduale maturare lungo direzioni personali e originali, imprimerà alla traiettoria dello Studio forze nuove che genereranno linee di fuga forse impreviste agli uomini che animarono il progetto originario, ma comunque feconde sia per l’approfondimento di quelle problematiche del lavoro dell’attore vive alle radici dello Studio, sia per la moltiplicazione delle possibffità dinamiche di esistenza della prassi di <<studieità>> ,
II ‘sistema’ di Stanislavskij — negli anni della sua presenza attiva al Primo studio, dal 1912 al 1920 — non è una ‘teoria’ qualcosa da accettare, dimostrare, confutare; è, più semplicemente, l’esperienza del suo lavorare con gil studijcy e con tutti quegli attori che gli danno fiducia cercando percorsi nuovi alla propria arte. Ciò che dalla seconda metà degli anni trenta, e almeno fino agli anni cinquanta, in Unione Sovietica diviene ‘regola’, imposizione burocratica di schemi di lavoro rigidamente prefissati e controllati dall’apparato ideologico dello Stato-Partito sarà il Sistema. Ma il ‘sistema’ è vivo nelle esercitazioni quotidiane, nella continua verifica dei procedimenti, sempre nuovo perché fondato sulle esperienze individuali e non su una sclerotica schematizzazione, nell’invenzione di soluzioni sempre diverse lungo la ricerca delle possibilità creative dell’attore; ii sistema sarà per Stanislavskij la riformulazione del suo modo di vivere la professione di attore (anche nell’ottica di regista-pedagogo), e per gli studijcy sarà I’opportunità di essere guidati da un Maestro verso la scoperta dei segreti della propria arte, non seguendo il rneccanismo dell’imitazione del modello e successiva variazione personale, ma cercando i percorsi, ben più difficili, per l’individuazione dei principi di una creatività cosciente.
Guardare al sistema significherà allora cercare nelle testiinonianze di lavoro concreto prodotto da Stanislavskij e dagli studijcy, penetrando il gergo, la lingua di lavoro ricca di terrnini quail zerno (germe), kusok (pezzo), skvoznoe dejstvie (azione trasversale), e ancora — citiamo solo i termini più ricorrenti — tvorceskoe sostojanie (stato creativo), krug (il circolo d’attenzione), vera (fede), zadaca (compito), affektivnoe cuvstvo (sentimento affettivo), zelanie (desiderio), podvodnoe tecenie (corso subacqueo) o il famoso perezivanie la cui ampia valenza semantica può permetterci di non rimanere ingabbiati nell’angusta traduzione di riviviscenza; occorre guardare attraverso il gergo, il lavoro quotidiano sugli <<studi>>, le improvvisazioni, la scansione delle esercitazIoni <<su di se>> e <<sulla parte>>.
E’ attraverso questo percorso che si può avvicinare il sistema inteso come modi e relazioni di lavoro fra Stanislavskij e i suoi allievi. Saranno proprio questi ultimi che inizieranno a scriverne la storia, cioè il movimento fluido della sua rigenerazione per mezzo di una acquisizione e rielaborazione individuale dell’insegnamento del Maestro; nelle esperienze e nelle scritture di allievi del Maestro; nelle esperienze e nelle scritture di allievi quali Evgenij Vachtangov, Michail Cechov e Valentin Smysljaev continua a svilupparsi lungo canali diversi la ricerca di un sistema, e non a caso ciò avverrà ancora nell’ambiente raccolto degli Studi da loro organizzati e guidati: la ‘studieità’ si pone adesso, a cavallo tra gil anni dieci e venti, come radice di quello che noi possiamo riconoscere come il filo rosso, tradizione profonda del teatro del Novecento: la ricerca dell’ attore creativo’. In quella scansione posta da Stanislavskij tra <<lavoro dell’attore su di sé>> e <<lavoro dell’attore sulla parte>> si situa un nodo centrale della problematica dell’arte dell’attore: ancor prima di essere interprete, l’attore deve essere nella possibilità di esprimere la propria attoricità, e per far questo dovrà smettere il suo abito fisico-mentale quotidiano e riplasmarsi per permettere l’acquisizione di una ‘condizione creativa’ necessaria al successivo lavoro sulla parte. Si tratta della definizione per l’attore di una dimensione extra-quotidiana (il termine appartiene alla cultura di ricerca di Eugenio Barba, ma ritengo, al di là della specifica valenza che esso assume nelle sue riflessioni sull’antropologia teatrale, utile e possibile un suo utilizzo anche in questa prospettiva) da costruire con un lungo e complesso lavoro di <<pulizia>> del corpo e della mente dagli automatismi del comportamenti quotidiani per permettere una nuova messa in forma, che sia organica non alla naturalezza della vita, ma all’artificialità della scena. La naturalezza come risultato, dall’ottica dello spettatore, è invece per l’attore un fitto montaggio di pezzi e elementi – frutto di una complessa segmentazione e notomizzazione di ogni suo comportamento – secondo regole che sono della sue arte, legati da una giustificazione che solo a lui pertiene.
Jerzy Grotowski vedrà in Stanislavskij l’uomo che ha posto le <<domande>> essenziali per il lavoro dell’attore, riconoscendo la necessità di <<risposte>> personali legate al proprio modo di voler essere dentro il teatro, fuggendo la falsa fedeltà dell’appiattimento su risposte che appartengono alla storie di altri uomini. Il sistema di Stanislavskij, in quest’ottica, è per noi un intrico di domande che nascono dalla ricchezza della prassi e della riflessione di un uomo che ha conosciuto la tradizione attorica dell’Ottocento, che ha percorso il cammino dei ‘riformatori’ che sentivano urgere la necessità di una rifondazione del Teatro, che nella pratica degli Studi ha ricercato, ininterrottamente fino alla monte, i percorsi utili all’attore per una sua presenza creativa nell’evento teatrale; intrico di domande, quindi, e insieme risposte personali, frutto della sua cultura, del suo tempo, di un suo precipuo modo di essere uomo di teatro. Delle risposte degli studijcy del Primo studio sono testimoni l’insegnamento di Vachtangov e le ricerche di Michail Cechov, le esperienze di Smysljiaev coi collettivi del Proletkul’t e i tentativi in provincia di Aleksej Popov, ed ancore molto i teatrologhi dovranno cercare, scoprire, far emergere, per ricostruire quel complesso mondo di rapporti che fu il lavoro di Stanislavskij e dei suoi allievi; che fu il ‘sistema che furono i ‘sistemi’.

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