STANISLAVSKIJ: registi-interpreti e registi-pedagoghi

Il Quaderno di Nessuno – 3110 iscritti / anno XXIII,  n ° 118 – 3/2024  

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STANISLAVSKIJ: registi-interpreti e registi-pedagoghi

Stanislavskij

 

Potrà apparire un ossimoro che l’uomo consegnato alla Storia quale uno tra i principali padri fondatori della Regia si riveli come nucleo propulsore di una nuova dimensione dell’attore inteso come perno essenziale dell’evento teatrale. In effetti è proprio lo Stanislavskij…che permetterà un taglio storiografico che distingua tra registi-interpreti e registi-pedagoghi. 

Lo stralcio è tratto da: Il teatro possibile – Stanislavskij e il Primo studio del Teatro d’arte di Mosca a cura di Fabio Mollica, (pag 217 e segg,) che ringraziamo per il permesso alla pubblicazione

 

 

 

STANISLAVSKIJ: registi-interpreti e registi-pedagoghi

Nel groviglio di tensioni, prassi, istanze che rendono vivo il teatro del Novecento, l’agire di Stanislavskij assume valenze non ancora, fino in fondo, organizzate in conoscenza filologicamente fondata e storiograficamente precisata. Vanno ancora ben individuati e aggregati quei dati che permettano di far luce sui momenti essenziali dell’appassionata vita nel teatro di Stanislavskij, luoghi utili da cui poter riconoscere e conoscere problematiche fondamentali del lavoro teatrale. L’esperienza del Primo studio del Teatro d’arte, e quindi l’insieme del tessuto di relazioni saldate attorno alla ricerca di una nuova dimensione del lavoro dell’attore, tra gli uomini che ne furono protagonisti – Stanislavskij, Vachtangov, Michail Cechov e tutti gli studijcy – si presenta come uno di questi momenti essenziali.

La storia del Primo studio inizia quando Stanislavskij rimette in discussione il proprio modo di essere vivo nel teatro, quando procedimenti e tecniche, che pur non hanno fatto grande il Teatro d’arte, iniziano a sentire l’usura del tempo e si sclerotizzano in abitudine, quando la passione rimane intaccata dalla noia della ripetitività e i gesti del lavoro quotidiano non richiamano più alcun piacere. Per Stanislavskij è la necessità di ritrovare uno “stato felice” al suo essere uomo di teatro.

Lo Studio nasce allora come luogo dove poter verificare le possibilità di una nuova dimensione per il lavoro dell’attore. Si sviluppano così i primi tentativi di Stanislavskij per definire un ‘sistema’ che apra all’attore la strada per una creatività piena e cosciente. Attraverso la pratica delle esercitazioni con gli studijcy Stanislavskij cerca di riformulare i principi di un’arte, quella dell’attore, che ormai pone indiscutibilmente al centro dell’esistenza del teatro. E questo non accade per formulazione teorica di principio, ma per profondo ripensamento di tutta la propria esperienza di teatro. Stanislavskij, tra la fine del secolo e il 1911, ha ricercato lungo le direzioni possibili soluzioni sceniche atte a dare uno spazio utile alla recitazione dell’attore. Nascerà da questo l’insoddisfazione dell’uomo-attore verso la complessità di un disegno registico-scenografico che relega ad un ruolo secondario – di volta in volta semplice pedina, interprete, simbolo – la creatività dell’attore; quasi una ribellione nei confronti di quella sorta di alienazione imposta dalla appena nata Regia alla centralità creativa dell’attore nell’arte teatrale.

Potrà apparire un ossimoro che l’uomo consegnato alla Storia quale uno tra i principali padri fondatori della Regia si riveli come nucleo propulsore di una nuova dimensione dell’attore inteso come perno essenziale dell’evento teatrale. In effetti è proprio lo Stanislavskij che crea le prospettive della ‘studieità’, che verifica un suo itinerario verso l’esaltazione delle virtualità creative dell’attore e la definizione dei principi che sottostanno a quest’arte, che permetterà un taglio storiografico che distingua tra registi-interpreti e registi-pedagoghi. La pedagogia teatrale è qui feconda esaltazione di un continuo processo di invenzione del teatro vissuta attraverso l’organizzazione di nuclei attorici saldati nella ricerca di tecniche e principi relazionali sempre e soltanto propri; e questa pedagogia teatrale ha negli Studi – tra Mosca e Pietroburgo, dal 1912 al 1914, con gli Studi di Stanislavskij, Mejerchol’d e Komissarzevskij – il momento storicamente determinato (e che si rivelerà determinante) della sua origine. Non è un caso che, al di là delle peculiarità dei diversi interessi che animavano gli artefici, la traccia del mito della Commedia dell’arte e delle tecniche dell’improvvisazione percorra questi Studi trasversalmente. E’ l’esaltazione, insieme, del collettivo e dell’individualità attorica come fondamento di un processo creativo possibile per la generazione di ‘nuovi attori’, condizione necessaria per l’edificazione di un ‘nuovo teatro’.

Alla radice del Primo studio del Teatro d’arte c’è il desiderio di Stanislavskij, umanamente legato alla sua individualità di attore, di verificare un suo ‘sistema’ che sia utile alla creatività dell’attore; c’è l’istanza, eticamente fondata, di dare ai giovani la possibilità di crescere e maturare in un luogo separato dall’Istituzione, cioè da quella particolare organizzazione produttiva che apparteneva ad una generazione di uomini di teatro e ad un modo di fare teatro soddisfatto dei risultati ottenuti, che poco spazio lasciava alle esigenze di rinnovamento poste da Stanislavskij e alle necessità dei giovani di elaborare un proprio percorso; ma contemporaneamente non isolato da quella grande cultura teatrale maturata dal MChT. Un luogo, insomma, di possibile osmosi tra la dimensione di una tradizione fatta di tecniche acquisite e comportamenti ‘sperimentati’, e la tensione alla ricerca, attraverso il sistema e una diversa organizzazione delle relazioni di lavoro.

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