NIETZSCHE: nascita della tragedia, apollineo, dionisiaco

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NIETZSCHE: la nascita della tragedia, apollineo e dionisiaco

Nietzsche(prima parte ) a cura di Diego FUSARO

La NASCITA DELLA TRAGEDIA (prima parte) APOLLINEO, DIONISIACO

La NASCITA DELLA TRAGEDIA, (seconda parte) VISIONE DIONISIACA
La NASCITA DELLA TRAGEDIA (terza parte) MISTERI ELEUSINI

“Nel 1871 Federico Nietzsche pubblica la sua memorabile opera La nascita della tragedia. In essa il grande pensatore tedesco introduce per la prima volta la distinzione tra apollineo e dionisiaco: la prima delle due categorie, caratteristica del sogno, si traduce in immagini di serena compostezza e trova la sua manifestazione più compiuta nelle arti figurative; l’altra, propria dell’ebbrezza, attiene alle pulsioni sotterranee dell’inconscio e si esprime nella musica…”

Il saggio del Dott. Diego FUSARO, che ringraziamo per il permesso alla pubblicazione, è tratto da http://www.filosofico.net/nie8.htm ed è stato da noi diviso in due parti: la presente e una seconda parte di prossima pubblicazione con una lunga citazione da Nietzsche.

Diego Fusaro (Torino, 15 giugno 1983) è uno scrittore e saggista italiano. Diplomato al liceo classico “Vittorio Alfieri” di Torino, si è laureato in Filosofia della storia nel 2005 e, successivamente, in filosofia e storia delle idee nel 2007 con una tesi su Karl Marx presso l’Università degli Studi di Torino. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano in Filosofia della storia. È ricercatore presso la stessa Università. Vedi anche http://www.filosofico.net/diegofusaro 

Buona Lettura



NIETZSCHE: La nascita della tragedia, apollineo e dionisiaco

(prima parte )

a cura di Diego FUSARO

La NASCITA DELLA TRAGEDIA, (seconda parte) VISIONE DIONISIACA
La NASCITA DELLA TRAGEDIA (terza parte) MISTERI ELEUSINI

Nel << 1871 Federico Nietzsche pubblica la sua memorabile opera La nascita della tragedia. In essa il grande pensatore tedesco introduce per la prima volta la distinzione tra apollineo e dionisiaco: la prima delle due categorie, caratteristica del sogno, si traduce in immagini di serena compostezza e trova la sua manifestazione più compiuta nelle arti figurative; l’altra, propria dell’ebbrezza, attiene alle pulsioni sotterranee dell’inconscio e si esprime nella musica. Il classicismo tradizionale aveva privilegiato solo la componente apollinea dello spirito greco, ma dietro l’enigmatico sorriso del Dio solare (Apollo) si cela il volto mutevole del suo fratello notturno, il nume delle orge e dei misteri: nella tragedia in virtù di un miracolo metafisico della “volontà” ellenica, compaiono in ultimo accoppiati l’uno nell’altro, e in questo accoppiamento generale si generano l’opera d’arte, altrettanto dionisiaca che apollinea, che é la tragedia attica. L’intuizione nietzscheana, pur espressa nello stile immaginoso e folgorante del profeta del superuomo, ha non solo il merito di aver gettato le basi per i successivi approfondimenti del problema, ma soprattutto quello di aver colto il carattere di coincidentia oppositorum, di sintesi dialettica dei contrari, che é il fulcro stesso del dramma greco, elemento questo che troverà riscontri precisi in molte delle teorie elaborate più tardi.>>* Tra i libri pubblicati da Nietzsche, se escludiamo gli scritti filologici, questo è l’unico dedicato ai Greci. Nessun altro libro di Nietzsche ha alle spalle una preparazione così lunga e faticosa. Per dieci anni il giovane studioso vive tra i suoi libri, accetta la tradizione della filologia, ammonisce i suoi amici a reprimere la fantasia, a rispettare il metodo, a controllare le ipotesi. Poi scrive questo libro, dove tutto è contraddetto. In esso Nietzsche propone una nuova visione della classicità, non quella della cultura europea che riflette la civiltà greca della decadenza, quando la sua forza creativa si è estinta, ma l’originario spirito greco, fatto di due elementi: un elemento dionisiaco oscuro, irrazionale, indefinito e ambiguo, che avverte la caoticità dell’essere, la vitalità, la spontaneità, l’ebbrezza e che si esprime con la musica e la danza, un elemento apollineo, luminoso, ben definito, che produce un mondo di forme limpide e definite e che si esprime con la scultura e le arti figurative. Nella grande tragedia greca (Eschilo e Sofocle) si compongono i due impulsi: la musica vi rappresenta il dionisiaco, la vicenda dell’eroe la definitezza apollinea. Noi siamo circondati dallo spettacolo, tutto oggi è spettacolo, non soltanto il teatro, il cinema, la televisione. Oggi anche gli uomini d’azione guardano, più che non agiscano. Perciò si rimane atterriti , quando viene qualcuno a rivelare che cosa fu la tragedia greca. D’un tratto ci si accorge che quello non era soltanto un vedere, che quello spettacolo era l’essenza del mondo, contagiante, soverchiante gli oggetti che crediamo reali. Quindi la sensazione moderna “questo è soltanto uno spettacolo” è l’inverso dell’emozione della tragedia greca che faceva dire “questa è soltanto la verità quotidiana”. L’uomo di oggi va a teatro per rilassarsi, per scaricarsi dal peso di tutti i giorni, perchè ha bisogno di qualcosa che sia soltanto spettacolo. Lo spettatore della tragedia greca veniva e “conosceva” qualcosa di più sulla natura della vita perché veniva contagiato dall’interno, investito da una contemplazione, cioè da una conoscenza, che già esisteva prima di lui, che saliva dall’orchestra e suscitava la sua contemplazione, si confondeva con essa. E se la via dello spettacolo fosse la via della conoscenza, della liberazione, della vita insomma? Tale è la domanda posta da La nascita della tragedia. Già Euripide tende ad eliminare dalla tragedia l’elemento dionisiaco, col predominio del raziocinio; poi Socrate e Platone sono “gli strumenti di dissoluzione greca, gli pseudogreci, gli antigreci”. Socrate fu ostile alla vita, volendo dominare e soffocare l’istintività spontanea in nome della ragione. Un brano dall’opera “La nascita della tragedia” : Apollineo e dionisiaco. Questi nomi li prendiamo in prestito dai greci, i quali rendono percepibili all’intelligenza le profonde dottrine della loro visione estetica non già per il mezzo di concetti astratti, ma con raffigurazioni chiare ed incisive della mitologia. Alle loro due divinità che simboleggiavano l’arte, Apollo e Dioniso, si riallaccia la nostra teoria, che nel mondo greco esiste un contrasto, enorme per l’origine e i fini, fra l’arte plastica, cioè l’apollinea, e l’arte non plastica della musica, cioè la dionisiaca; questi due istinti così diversi camminano uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio, stimolandosi reciprocamente a sempre nuove e più gagliarde reazioni per perpetuare in sé incessantemente la lotta di quel contrasto, su cui la comune parola di “arte” getta un ponte che è solo apparente: finché in ultimo, riuniti insieme da un miracolo metafisico prodotto dalla “volontà” ellenica, essi appaiono finalmente in coppia e generano in quest’accoppiamento l’opera d’arte della tragedia attica, che è tanto dionisiaca quanto apollinea. Uno degli aspetti dell’insuperabile fascino di quest’opera consiste proprio, probabilmente, nella peculiare mescolanza di filologia e filosofia, in una misura e con risultati che non trovano precedenti nella grande filologia-filosofia romantica. La Nascita della tragedia é insieme una reinterpretazione della Grecità, una rivoluzione filosofica ed estetica, una critica della cultura presente e un programma di rinnovamento di essa. Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell’esistenza: per poter comunque vivere, egli dovette porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dei olimpici. L’enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura […] fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dei olimpici. Proprio gli dei olimpici sono il mezzo con cui i greci sopportano l’esistenza, della quale hanno visto la caducità, la vicenda dolorosa di vita e morte, soffrendone in modo profondo a causa della loro esasperata sensibilità; gli dei olimpici giustificano la vita umana vivendola essi stessi, perché la vivono in una luce senza ombre e fuori dall’angoscioso incombere della morte. La portata liberatoria delle figure degli dei olimpici si esercita solo se essi rimangono in un rapporto profondo con il dionisiaco, cioè con il mondo del caos al quale pure devono aiutarci a sfuggire. Il rapporto fra apollineo e dionisiaco é innanzitutto un rapporto fra forze all’interno dell’uomo singolo, che all’inizio dell’opera Nietzsche paragona agli stati del sogno (l’apollineo) e dell’ebbrezza (il dionisiaco); e che funziona nello sviluppo della civiltà come la dualità dei sessi nella conservazione della specie. Tutta la cultura umana é frutto del gioco dialettico di questi due impulsi. Sul piano della specifica teoria dell’arte, la dualità permette di leggere le varie fasi dell’arte greca in relazione alla lotta tra impulso dionisiaco e apollineo, lotta che si dispiega anche come conflitto tra popoli diversi, nel succedersi di invasioni e assestamenti che caratterizza la storia della Grecia arcaica. Così l’arte dorica si dispiega solo come risultato di una resistenza dell’apollineo agli assalti, che sono anche veri e propri attacchi di popoli invasori, del dionisiaco, dei culti orgiastici di origine barbarica. Nella lotta dei due princìpi avversi, la storia greca antica si suddivide in 4 grandi periodi artistici ; dall’età del bronzo, con le sue titanomachie e la sua aspra filosofia popolare, si sviluppò, sotto il dominio dell’istinto di bellezza apollinea, il mondo omerico; questa magnificenza “ingenua” venne di nuovo inghiottita dal fiume irrompente del dionisiaco, e di fronte a questa nuova potenza l’apollineo si elevò alla rigida maestà dell’arte dorica e della visione dorica del mondo. Al predominio dell’uno o dell’altro impulso si legano poi le diverse arti: se la musica é arte prevalentemente dionisiaca, la scultura e l’architettura sono apollinee, e così l’epopea. Ed é la tragedia attica che si prospetta come la più perfetta ed equilibrata sintesi tra i due impulsi: secondo Nietzsche essa nasce dal coro dei Satiri, ossia la processione sacra in cui i partecipanti si trasformano in finti esseri naturali. Questo mondo non é più un mondo di fantasia, situato arbitrariamente fra cielo e terra; bensì un mondo di realtà e credibilità pari a quella che possedeva, per il Greco religioso, l’Olimpo con tutti i suoi abitatori. Ma la tragedia greca va intesa, secondo Nietzsche, come coro dionisiaco che sempre di nuovo si scarica in un mondo apollineo di immagini. Ma il profeta del superuomo indaga anche perchè la tragedia ad un certo punto sia morta e giunge alla nota conclusione che l’autore di questo suicidio é stato Euripide, che ha portato lo spettatore sulla scena: ha trasformato il mito tragico in un susseguirsi di vicende razionalmente concatenate e comprensibili, di stampo sostanzialmente realistico. E se Euripide trasforma in senso realistico e razionale il mito tragico, lo fa per soddisfare le esigenza di un determinato spettatore, Socrate, il quale inaugura nella mentalità greca una visione razionale del mondo e delle vicende umane, secondo la quale al giusto non può accadere nulla di male, nè nella vita terrena nè nell’aldilà. E la stessa introduzione euripidea del prologo, con il quale spiega fin da principio l’azione, toglie alla tragedia ogni tensione epica e eccitante incertezza. E visto che tutto deve andare razionalmente, si intende anche la necessità del deus ex machina. Se c’é una struttura razionale dell’universo, come crede Socrate, allora il tragico perde il suo significato, non ha più senso. Nietzsche arriva a criticare il carattere unilaterale e riduttivo della cultura tedesca del suo tempo, in cui predomina l’uomo teoretico alla Socrate. Questi corrisponde al mondo della scienza e della divisione tecnica dei compiti; esso é caratterizzato dalla fiducia nella possibilità di correggere il mondo per mezzo del sapere, in una vita guidata dalla sola scienza. Il prototipo e il capostipite di tale modello culturale é proprio Socrate, che inaugura il metodo di comprensione della realtà mediante concetti. Con ciò l’arte stessa viene subordinata al concetto e si stempera nella visione delle forme apollinee, di cui non si coglie la radice profonda nel dolore e nella durezza della vita. Nietzsche vede la possibilità di una ripresa dello spirito tragico, andato perduto per colpa di Euripide e Socrate, una ripresa intesa come sapienza che si volge con immobile sguardo all’immagine totale del mondo, cercando di cogliere in essa l’eterna sofferenza come sofferenza propria. Si tratta di andare oltre i limiti della cultura teoretica, incapace di poter scrutare, sulla base della causalità, l’intima essenza delle cose e di superare lo spirito critico-storico della cultura presente,che si riduce a raccattare elementi disgregati dietro la spinta di una eccessiva brama di sapere, e riannodare il legame tra vita e mito. In questa fase del suo pensiero, Nietzsche risulta particolarmente influenzato dalla metafisica di Schopenhauer, con la distinzione tra mondo della rappresentazione e mondo della volontà, sia dal dramma musicale wagneriano, che intende essere opera d’arte totale , con la fusione di musica , mito, azione, testo poetico e plasticità scenica.

Riportiamo qui sotto un passo in cui Nietzsche parla della visione dionisiaca del mondo.

ATTENZIONE: il passo di Nietzsche sopra citato sarà pubblicato nel prossimo numero.
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* da M. Casertano, G. Nuzzo, Storia e testi della letteratura greca, vol. II, pp. 29-30, G. B. Palumbo Editore

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