E. Barba: Le mie Vite nel Terzo Teatro

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eugenio barbaEugenio Barba

Le mie vite nel Terzo Teatro 

A cura di Lluis Masgrau 

Edizionidipagina 2023

Eugenio Barba è uno dei grandi maestri del teatro del ‘900. Sono molti i libri scritti da lui sin da 1962 e i saggi sulla sua lunga esperienza di fondatore e regista dell’Odin Teatret, di teorico e animatore di un nuovo teatro di gruppo, terzo rispetto alle forme più convenzionali di azione e organizzazione.
A quasi sessant’anni dalla creazione dell’Odin Teatret, Le mie vite nel terzo teatro è il grande libro della sintesi.
Questa autobiografia professionale ricostituisce con completezza la ricerca del senso di una missione creativa vissuta come mestiere, ma anche come differenza e rivolta. L’essenziale interrogativo sul quale si è fissato l’impegno di Barba – perché fare teatro? – è qui esplorato in tutta la sua complessità. Come voleva il fisico Niels Bohr, però, le uniche risposte a domande primarie sono altre domande, sempre più vertiginose, che scavano ancor più a fondo.

Ma un principio fermo guida l’interrogazione: un teatro vale solo se si trascende, se cerca il suo valore provando a liberarsi della sua scontata funzione di teatro.



Eugenio Barba

Le mie vite nel Terzo Teatro 

Eugenio Barba e la ricerca del senso personale del lavoro di Luis Masgrau

2. Il libro che il lettore ha tra le mani esplora l’importanza del senso personale all’interno della visione teatrale di Barba. E’ un libro apparentemente molto eterogeneo perché composto da una quarantina di testi di epoche diverse che parlano di una grande varietà di esperienze e di problematiche. L’intero libro è però permeato dall’ossessione di riflettere sulle motivazioni che hanno sostenuto la traiettoria professionale dell’autore, determinandone la forma e la sostanza.

          Il dialogo con Grotowski che permeava La terra di cenere e diamanti si estende ora ai riformatori teatrali del Novecento. I nomi di Gordon Craig e sua sorella Edith, Stanislawskij, Mejerchol’d, Vakhtangov, Copeau, Dullin, Artau, Decroux, Brecht, Grotowski, il Living Theatre, Dario Fo e Franca Rame, tra gli altri, sono onnipresenti e attraversano il libro da un capo all’altro. Barba si riferisce a questa cultura teatrale come “la tradizione dei fondatori di tradizione” e la assume come una genealogia professionale. Cerca di individuare la corrente sotterranea che lega il contributo teatrale dei riformatori, nonostante i rispettivi teatri e spettacoli fossero molto diversi. Questa corrente è il senso personale del mestiere, e Barba decifra in essa un’idea costante: negare il senso statuito del teatro per iniettarvi altri valori che trascendono la sua dimensione meramente ricreativa, estetica o artistica. Se i riformatori negarono la pratica del mestiere così com’era stabilita ai loro tempi, fu per trasformarlo in qualcosa di più che teatro: azione politica, sociale, spirituale, antropologica, terapeutica o pedagogica nel senso più ampio del termine. Ognuno di loro ha inoculato le proprie motivazioni nel “guscio” del teatro. Queste motivazioni sono state il carburante che ha messo in moto nuove realtà teatrali.

          Per Barba, la ricerca di un personale senso artigianale è ciò che permette al teatro di andare oltre la sua dimensione di spettacolo o di arte. Questa è l’idea chiave del libro. Il teatro è una strategia per poter vivere in un altro modo, con altri valori, in un altro contesto. Il teatro è politica con altri mezzi, e la politica è nostalgia di cambiamento. Il teatro è il cavallo di Troia che permette di svolgere un’attività socialmente riconosciuta e allo stesso tempo di rifiutare i valori stabiliti. La pratica teatrale è, per Barba, la via del rifiuto. Rifiuto dello spirito del tempo, a cominciare da tutto ciò che la società del momento comprende e include sotto l’etichetta “teatro”. Un atteggiamento di dissidenza e un ethos che nega il senso teatrale stabilito sono la premessa indispensabile per innescare la ricerca di un senso personale del mestiere.

          Le mie vite nel Terzo Teatro è un’autobiografia professionale che ricostituisce la ricerca del senso. Attraverso innumerevoli metafore, il libro punta costantemente alla realtà essenziale di un teatro che vuole trascendere se stesso. Un filo rosso attraversa il libro: la tensione tra il teatro e l’ansia di trascenderlo. Per Barba il teatro come bene culturale o opera artistica non si giustifica di per sé. E’ una realtà arcaica che vale solo se riusciamo a rivitalizzarla iniettando nel suo cuore motivazioni personalissime.

          La capacità di cercare, individuare e incarnare un senso personale che trasforma il teatro in “qualcosa di più” si manifesta nel lavoro. E’ uno dei suoi livelli di organizzazione. Per Barba il teatro, nel corso del Novecento, è diventato una sorta di rudere archeologico, un legato del passato che risponde a un mondo e a una mentalità artigianale. Fare teatro costa energie, tempo e denaro. Implica la collaborazione di persone che devono provare a lungo e poi viaggiare portando lo spettacolo in luoghi diversi. Alla fine, solo un numero ristretto di persone ha l’opportunità di vederlo. Dopo anni di tournée, il numero di spettatori è ridicolo rispetto al pubblico che può essere raggiunto attraverso una piattaforma audiovisiva  o un canale televisivo. Nel mondo dell’Internet e delle serie televisive, la logica insita nel teatro sembra anacronistica. Barba, però, non la vede come un aspetto negativo; è proprio questa condizione di “rovina archeologica” che rende il teatro uno strumento privilegiato per percorrere la via del rifiuto.

          Ciascuno dei libri basilari di Barba ha un suo interesse e una sua qualità. Tuttavia, credo che Le mie vite nel Terzo Teatro abbia un valore aggiunto che lo rende il libro fondamentale dell’autore. Nella misura in cui coglie la ricerca personale di senso, è facile intuire che in queste pagine c’è criptato il tronco e le radici in cui affonda la visione teatrale che ha guidato Barba. Gli altri libri esplorano i rami che sono cresciuti e si sono sviluppati da questo tronco e dalle sue radici. Nella poetica teatrale del regista italo-danese, il senso personale del mestiere pervade tutto. Negli altri libri si ritrova lo stesso substrato di senso convertito in tecnica attorale (La canoa di carta), in drammaturgia e regia (Bruciare la casa), in disciplina di studio (L’arte segreta dell’attore. Dizionario di Antropologia Teatrale), in dialogo con i teatri tradizionali asiatici (La luna sorge dal Gange) o con il teatro di gruppo latino-americano (Arare il cielo). Questo stesso substrato si trasforma in una descrizione originale della storia del teatro (I cinque continenti del teatro). Le mie vite nel Terzo Teatro offre le chiavi per aprire le porte della comprensione di ciascuno degli altri libri.

          Oltre a questa funzione centrale, il libro contiene una cospicua selezione dei testi di maggiore densità dell’autore. Non tutti i testi principali di Barba sono inclusi, ma ve ne sono un numero significativo. Molti di loro sono diventati dei classici ampiamente diffusi.

3.

Le mie vite nel Terzo TeatroDifferenza, mestiere, rivolta si compone di cinque capitoli, ognuno dei quali affronta un aspetto generico o un ambito di lavoro da approfondire, indicato dalla prima parte del titolo. Questi cinque campi sono: Origine, Pedagogia, La via del rifiuto, Viaggio e Durata. Si tratta di cinque campi intimamente legati al teatro.

          Origine: quasi tutte le persone che fanno teatro ricordano la nascita della loro passione per il teatro. Cosa, quando, chi ha rivelato in loro la “magia” di quell’arte, come sono stati i primi passi nella professione? Queste esperienze iniziali accompagnano i professionisti del teatro durante tutta la loro carriera, non tanto come una riflessione nostalgica e autoindulgente, quanto piuttosto come una pozione segreta con cui cercano di rivitalizzare la propria motivazione ed energia.

          Pedagogia: molte persone che fanno teatro si dedicano anche a un’attività didattica. A cominciare dai grandi attori dell’Ottocento, che invecchiando divennero spesso insegnanti nelle prime scuole teatrali, è come se la pedagogia sia un secondo polmone del teatro, insieme agli spettacoli. Cosa e come insegnare a fare teatro, che valore dare all’attività pedagogica, come canalizzarla, e attraverso quali attività specifiche?

          La via del rifiuto: così Barba definisce e realizza l’esigenza politica di preservare un atteggiamento dissidente e anti-establishement. E’ ovvio che il teatro può essere fatto bene anche senza un’intenzione politica o una volontà di rifiutarlo. Ma è anche vero che il teatro politico, come forma di contestazione, ha una lunga tradizione. Qui sorgono una serie di sfide legate soprattutto al modo di dare efficacia a questo atteggiamento di ribellione: fare spettacoli che parlano di politica? Incarnare un certo stile di vita? Cercare un modo per raggiungere il maggior numero possibile di spettatori?  Essere selettivi nel trovare i propri spettatori?

          Viaggio: la professione teatrale comporta la necessità di spostarsi. Si potrebbe dire che il teatro è un’arte itinerante. Gli attori sono costretti a risolvere senza sosta una serie di domande: come viaggiare, con quali mezzi, cosa organizzare quando si è fuori casa, come relazionarsi con la gente del posto, come adattarsi ai cambiamenti di città, mentalità o lingua, come decifrare le reazioni degli spettatori di un determinato paese o nazione.

          Durata: dato che il teatro è un’arte effimera e richiede un cospicuo dispendio di energie, arriva un momento nella carriera di un professionista in cui il problema della durata diventa pressante. Quanto tempo posso continuare? Quanto tempo posso resistere? Per quanto tempo mi chiameranno per lavorare? Il bisogno di durare ha anche una variante in un desiderio: come trovare un modo per trascendere la condizione effimera della propria opera che svanisce al termine dello spettacolo?

          Ciascuno di questi cinque campi generici è abbinato a un altro concetto che indica il modo personale di risolvere i problemi di ogni ambito: vocazione, training, Terzo Teatro, baratto ed eredità. Il titolo dei cinque capitoli è dunque così stabilito:

          Capitolo I. Origine: vocazione

          Capitolo II. Pedagogia: training

          Capitolo III. La via del rifiuto: Terzo Teatro

          Capitolo IV. Viaggio: baratto

          Capitolo V. Durata: eredità

          Il titolo di ogni capitolo suggerisce la traduzione personale di un campo di lavoro generale. La seconda parola stabilisce una maggiore specificità del campo da esplorare un modo per risolvere i problemi inerenti a ciascun campo. La precisione delle parole scelte è essenziale e consente al lettore di concentrarsi sull’argomento di ogni capitolo. Vocazione, training, Terzo Teatro, baratto ed eredità delimitano e personalizzano il significato di ciò che li precede. Rappresentano i termini che il lettore dovrebbe prendere come riferimento per seguire l’asse discorsivo di ogni capitolo.

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“Bisogna ammettere nell’attore l’esistenza di una sorta di muscolatura affettiva corrispondente alla localizzazione fisica dei sentimenti” (A. Artaud; Il teatro e il suo doppio, pag 242).

 

Dal momento che il gesto psicologico è composto dalla volontà, permeata di qualità, può facilmente comprendere ed esprimere la completa psicologia del personaggio.

 

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