Il saggio è la traduzione di una parte del lavoro del neurofisiologo P.V. Simonov, “Metod K.S. Stanislavskogo i fisiologija emocij” (1962), che aveva come obiettivo il verificare fino a che punto il lavoro di Stanislavskij potesse essere utilizzato in protocolli terapeutici di alcune patologie psichiche. Rappresenta un utile materiale di riflessione sui fondamenti biologici della teoria del grande maestro russo e contribuisce a chiarire alcuni interrogativi connessi alla cultura stanislavskiana. Il testo prende in esame i risultati del lavoro di ricerca del regista che vengono assorbiti all’interno della pratica terapeutica e del campo di ricerche della neurofisiologia.
Il teatro d'arte di Mosca (MChAT), in cui Stanislavskij ha impostato il Suo Metodo, si contraddistingue come uno spazio di sperimentazione della varia “complessità” inerente l’animo e l’arte dell’attore. L’indagine di questa “complessità” è un viaggio attento ed accurato non privo di errori e ripensamenti, uno spazio in cui erano sollecitati ad interagire l’autore e l’attore, il testo e il sottotesto, la realtà e le illusioni, la mente ed il corpo, il passato con la sua aura sfilacciata e il presente con la sua concretezza.
"Ci si può sottomettere ai desideri altrui, agli ordini del regista o dell'autore, ma li si eseguirà in modo meccanico, inerte: si possono rivivere solo i propri personali stimoli e desideri, creati e rielaborati dall'attore stesso, dalla propria volontà e non da quella altrui” (Stanislavskij)