Università del Teatro Eurasiano, 2003

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1100 iscritti / anno II,  n ° 06 / settembre 2003


Università teatro eurasiano, scilla 2003Università del Teatro Eurasiano, X Sessione 2003

castello di Scilla, giugno

appunti di Marco Galati

Castello di Scilla (giugno 2003)

Il “Teatro-Laboratorio” come “teatro tra macerie e barricate”

Note sul Seminario teorico-pratico con : Eugenio Barba & Julia Varley (Odin Teatret) – Franco Ruffini (Un. Roma 3) & Nicola Savarese (Un. Lecce) – Nando Taviani & Mirella Schino (Un. l’Aquila)

Ringraziamo Marco Galati per averci inviato i suoi appunti.

 

Quando parlo di Teatro Eurasiano, non penso ai teatri compresi in uno spazio geografico, ma ad una dimensione mentale, un’idea attiva che ha ispirato il teatro del nostro secolo. Questo concetto racchiude le esperienze che per tutti gli artisti, di qualsiasi origine culturale, costituiscono i punti di riferimento essenziali per la loro pratica teatrale: da Ibsen a Zeami, dall’Opera di Pechino a Brecht, dal mimo di Decroux al Noh, dal Kabuki alla biomeccanica di Mejerchol’d, dal metodo di lavoro sull’attore di Stanislavski al workshop di Grotowski, dal balletto e dalla danza moderna al Kathakali, da Artaud alle danzatrice indiane di Odissi. Potremmo affermare che il Teatro Eurasiano rappresenta un territorio comune: quello del nostro mestiere, della nostra identità professionale. O ancora, che è un’eredità, che rimane e può essere condivisa in maniera uguale nel paese di transizione che è il teatro. Creare il proprio castello di libertà chiamato teatro significa saperlo difendere ma soprattutto saper rompere l’isolamento, attraverso persone unite non dalle stesse affinità, ma dagli stessi bisogni. Il progetto di “Linea Trasversale” è un esempio concreto di come si rompe l’isolamento, di come si crea una rivolta, di come si collabora insieme, di come ognuno conserva la propria identità e specificità, il proprio essere in minoranza. E‘ un esempio di come si costruisce una fortezza in qualunque luogo geografico. La storia sotterranea del teatro è la storia di costruttori di castelli.

La parola non ha un posto importante in questo modo di far teatro. Per conoscenza tacita intendiamo quel modo di incorporare determinate conoscenze seguendo azioni pratiche e tramite l’esperienza. Non è un metodo dove si formula l’estetica ma un modo di lavorare dove sono i maestri a mostrare quello che a loro volta avevano appreso dai loro maestri e così via fino a dove si perdono le tracce della tradizione. Conoscere la storia è un momento importante di non-odio. Il vero passaggio comunicativo avviene attraverso i sensi. Occorre provare di persona la difficoltà corporea nel tirare fuori le sensazioni, le emozioni e la conoscenza dei propri limiti psico-fisici.

Il Teatro-Laboratorio possiamo forse pensarlo come la tensione del processo di costruzione non visto solo in funzione del risultato finale ma proprio del processo in se. Il lavoro collettivo è un momento basilare all’interno di tale processo. Quando pensiamo come attori dobbiamo sempre pensare a un modo per andare avanti. E’ preferibile far pensare il personaggio a cosa deve fare. L’attore deve essere ossessionato da un bisogno essenzialità. Il teatro è uno strumento per raggiungere diverse forme di realtà ed è caratterizzato da tre dimensioni: etica, estetica e sociale. Il mestiere dell’attore è un lavoro d’artigiano fatto di tante piccole cose, continue nel tempo, di apprendistato e di maestria, di costanza e tenacia, di coraggio e spregiudicatezza. L’attore deve essere capace di trovare quel passaggio, quel varco nello spazio e nel tempo, attraverso cui trasforma la realtà in finzione e viceversa. I grandi maestri di teatro sono quelle persone che hanno trovato la forza di rompere gli schemi a loro contemporanei e hanno avuto il coraggio di creare nuove strade. Quando pensiamo alla parola laboratorio lo dobbiamo pensare come un luogo fisico, sociale e mentale.

luogo fisico     :  il luogo dove si fa, come e con chi

luogo sociale   :  il luogo che contiene la relazione con il proprio presente e il proprio passato

luogo mentale :  il luogo che esiste dentro di noi come un’officina che lavora tutto il tempo

Noi tutti siamo degli stranieri (noi attori, noi poeti) nella terra della prosa. Entrare come stranieri in qualunque campo di attività da un ottica particolare a ciò che si fa. Dobbiamo rispettare le regole classiche del teatro e, allo stesso tempo, far di tutto per allontanarci da esse. L’atteggiamento mentale deve essere non solo artistico ma esistenziale. Per lavorare così non serve solo la conoscenza ma soprattutto quella tensione, quell’attenzione che ci obbliga ad un utilizzo dell’energia in modo molto intenso. L’officina del lavoro teatrale non ha solo a che vedere con la propria creatività personale, ma è soprattutto un paziente lavoro artigianale creato nel tempo con cura dall’attore che dapprima coglie solo delle ombre, e poi le proietta, le trasforma e le rende immagini forti. Chi inizia un percorso di laboratorio teatrale assorbe la voce e i condizionamenti fisici del suo maestro. Al 99 % il mestiere dell’attore è intuizione pratica a partire dalle proprie azioni fatte nel lavoro di training. Sta all’attore intuire il passo necessario per capire quali movimenti eseguire per fare una scena in maniera convincente che possa far dire al suo regista: ci credo. Per tecnica s’intende saper fare una cosa bene.

Il laboratorio è un luogo attrezzato in un tempo organizzato nel quale si fanno esperimenti basati su ipotesi da sottoporre a verifica, i cui prodotti possono essere utilizzati in uno spazio dove si mettono in mostra i risultati degli esperimenti.

Se il laboratorio è un luogo attrezzato, quali sono allora gli attrezzi di un laboratorio teatrale? Il laboratorio può essere all’inizio un luogo nudo, spoglio, affinché sia privo di condizionamenti. Ma di che tipo devono essere le attrezzature di un laboratorio teatrale?

Il laboratorio è un luogo nel quale si fanno esperimenti basati su ipotesi. L’ipotesi è un’affermazione in attesa di verifica. Ci sono ipotesi prive di sperimentazione, pratica diffusa ma dannosa. Ci sono esperimenti senza ipotesi, non servono a niente. Ma soprattutto l’esperimento, a chi finalizzarlo? L’esperimento è destinato ad una molteplicità che va al di là di colui o coloro che sperimentano. Ogni esperimento comporta un rischio.

Se l’esperimento è da sottoporre a verifica, c’è da chiedersi chi deve fare la verifica.

I cui prodotti possono essere utilizzati. Ci sono laboratori che non necessariamente producono prodotti. In genere è però auspicabile che i laboratori producano processi, metodi di lavoro. Il laboratorio scientifico tende a non avere scarti di produzione non utilizzati. Nel laboratorio artistico c’è invece una grande quantità di materiale non utilizzato che però è servito per arrivare al lavoro finale.

Una caratteristica del laboratorio è il tempo organizzato del lavoro che si esegue. Il dubbio non è in se un valore ma non bisogna farsi intrappolare dalle false certezze.

Per dilettante s’intende spesso colui che fa un’attività non per lavoro e spesso il termine è usato in tono dispregiativo. I dilettanti sono amatori, persone che, nel passato, ma anche ai nostri giorni, facevano esperienze di teatro per puro diletto, per amore. Coloro che facevano teatro per bisogno professionale, che di teatro ci campavano, difficilmente facevano capolavori. I dilettanti, gli amatori, fanno teatro per esprimere se stessi, per avere spazi di libertà, per un proprio bisogno spirituale. Per i dilettanti la cosa più importante sono le prove, non lo spettacolo. Esiste una vera e propria equazione del tipo: molte prove – pochi spettacoli – dilettanti. Per i professionisti, in passato ma spesso anche ai giorni nostri, vale l’esatto contrario. Esiste una fondamentale differenza tra l’amatore del teatro, che è colui che fa teatro, e l’amante del teatro, che è colui che va a teatro. Ad un certo punto (primi anni del ‘900 con Stanislavski, Mejerchol’d, Artaud, Appia) la linea di terra che divedeva questi due fiumi (dilettanti e professionisti) si è erosa e le due correnti d’acqua si sono mescolate. Questo è un fiume che non ha fonti precise ma nasce dalla confluenza di tanti fiumi, non esiste un punto preciso dove sta la sua sorgente, o almeno, non è facile individuarlo.  La tecnologia può essere piegata all’arte teatrale. La tecnologia può essere esterna al lavoro teatrale dell’attore (luci, suoni, scenografie, arti visive) o può essere usata dall’attore come protesi (ad esempio gli zoccoli e le maschere del teatro greco). La tecnologia può dilatare il lavoro dell’attore. L’acustica, per esempio, è una scienza che nasce solo nel 1895 e che studia il riverbero del suono e, di conseguenza, come costruire ed adattare l’architettura degli spazi teatrali.

Il Teatro-Laboratorio è una categoria storica caratteristica della seconda metà del ‘900. Sono stati costituiti da gruppi che lavoravano allo scopo di elaborare qualcosa di diverso, il lavoro di gruppo come lavoro collettivo e coscienza comune. Il dramma, ammesso che lo sia veramente, del Teatro-Laboratorio è che ha bisogno di tempi molto lunghi per elaborare qualcosa. In questo tipo di teatro gli attori finiscono con l’assumere dosi omeopatiche di molte cose diverse ed importanti e finiscono con il dar vita a qualcosa a cui non avrebbero mai pensato di dar vita. Nel teatro coesistono i tempi brevi (lo spettacolo) e i tempi lunghi (l’apprendistato, il training, le prove, i laboratori di ricerca e le scuole). Solo attraverso tempi lunghi si possono, forse, trovare i veri cambiamenti. E’ bene pensare al teatro anche come ad una forma di cultura non verbale. L’impulso è la preparazione all’azione, è mettere in tensione i muscoli prima di fare l’azione. Il Teatro-Laboratorio può essere un modo per difenderci da quella parte di noi che è morta o che sta morendo. La parola vita va intesa come una parola che lotta contro la sopraffazione della morte.

Caratteristiche del Teatro-Laboratorio

– è un processo di creazione e di lavoro

– da molta importanza al lavoro di gruppo

– è una scuola continua

– è un luogo fisico, lo spazio nel quale si lavora collettivamente

– da l’impressione di entrare in una casa (la casa degli attori) e non in un teatro

– in questa casa non abitano degli attori ma un gruppo fondato su un grande rispetto reciproco

– si svolgono delle attività (apprendistato, training, prove)

– training è una parola mito che significa profondo rispetto per il lavoro

Fare training è la condizione essenziale per arrivare allo spettacolo. Il training è, di per se, un’attività non finalizzata alla creazione dello spettacolo. E’ un’attività personale, che cambia nel tempo, che, alle volte è trasmissibile ed altre no. Il training è un’isola di libertà. Il training è il primo legame che si instaura tra l’allievo e il suo maestro, ma dopo un certo periodo (3-4 anni di lavoro intenso) l’attore deve diventare autonomo nel suo training, altrimenti non potrà mai affrontare in maniera adeguata quel mostro che è il teatro. Il training comincia con gli esercizi ma poi diventa un’altra attività e produce individualismi estremi. Il regista deve essere in grado di proteggere i suoi compagni, il gruppo.

Ad un certo punto avviene un processo di crescita e di integrazione (il training, le prove, lo spettacolo), con un’altra persona (il gruppo, gli spettatori), ma occorre serietà e continuità per riuscire a fare bene un certo teatro che non sia solo pura esibizione. Questo modo di fare teatro è un ideale verso il quale si deve tendere. Ad un certo punto avverrà nei vostri corpi una vera e propria alterazione molecolare e contemporaneamente sarà avvenuta anche una trasformazione mentale. E’ un fenomeno che si produce solo nei tempi lunghi. Ma a quel punto una persona sarà diversa: avrà acquisito un modo veloce di reagire, di essere, di stare presente in scena con la giusta energia e con i giusti movimenti. Questi sistemi di lavoro sono nati con il preciso intento di distruggere il diaframma esistente tra arte e vita. Uno dei problemi principale che deve risolvere il training del Teatro-Laboratorio è l’inerzia della materia, creando un flusso di movimenti.

Nel Teatro-Laboratorio il palcoscenico non deve più esistere, non deve più esserci la barriera che divide lo spazio tra il pubblico e il gruppo di attori. Un gruppo si forma grazie a delle affinità elettive, cioè delle precise scelte dei vari componenti del gruppo di stare insieme e lavorare. Ci può essere disciplina solo se c’è autodisciplina e occorre sempre tenere a mente che le piccole scintille tendono a spegnersi a svanire, bisogna fare una grande sforzo per tenerle sempre accese. Gli esercizi del training usati per sviluppare l’immaginazione creano la freccia ma non il bersaglio. Il bersaglio ce lo dovete mettere voi. Le metafore servono per prendere il volo ma poi vanno subito abbandonate. Il training va considerato come una forma perenne di apprendistato. Ma il training e le prove di uno spettacolo vanno considerati come due mondi separati o hanno un ponte che li unisce!?

Il teatro trae alimento, si nutre, dalle esperienze del passato. Scopo del viaggio teatrale è arrivare a dare qualcosa al destinatario (spettatore) ma prima bisogna agire sull’intermediario (attore). Esiste la drammaturgia dello spettatore? Quando si pensa all’attore non si può non pensare allo spettatore poiché è lui che decide della bontà dell’attore. Il training, dopo anni di allenamento continuo, non resta solo più esercizio fisico ma diventa momento di spiritualità. Tutte le forme di ascesi spirituale fondano il loro essere su azioni fisiche (respirazione, concentrazione, tensione, rilassamento). Gli esercizi del training non devono servire solo a tenerci in forma, ma devono diventare, col tempo, una vera e propria guida dell’attore per trasformarlo in poeta. Il training è una pratica psico-fisica sistematica e prolungata del disagio che si basa e punta al disequilibrio proprio perché è una situazione fisica e mentale che costa molto di più all’attore in termini energetici di una situazione di equilibrio. Il training è ciò che ci permette di essere attori.

L’arte dovrebbe essere qualcosa di necessario per il proprio spirito, come lo è il cibo per il corpo (Artaud).  L’attore va visto come un prolungamento del corpo-mente del regista in scena. I membri del gruppo non devono necessariamente avere le stesse idee, gli stessi valori, ci possono essere differenze, anzi è auspicabile; però i membri del gruppo devono essere reciprocamente generosi e disponibili. Queste due qualità sono un alimento prezioso e insostituibile per la crescita e la sopravvivenza del gruppo. Il lavoro dell’attore deve cercare una via della precisione, avere una sempre maggiore esigenza della forma precisa di un movimento. Il regista vede dall’esterno cosa disturba le azioni, vede come l’attore è capace di rendere vera l’azione che lui stesso esegue. Un momento interessante delle prove è quando si passa dal lavoro dell’attore su se stesso alle relazioni con gli altri attori. Il regista deve metterli, all’inizio delle prove, non in relazione ad una storia ma al ritmo dei movimenti biologici che essi eseguono, deve cercare le sincronie che tra loro si instaurano, creare degli equilibri e poi romperli, dare vita a degli improvvisi disequilibri e poi cercare nuove sincronie e cosi via. Gli attori devono trovare relazioni e sincronie comportamentali reciproche, devono ballare al ritmo delle azioni e delle parole. Esiste un dinamismo delle azioni come se fossero parole di un dialogo, un dialogo fisico fatto di azioni e reazioni. I flussi delle azioni possono essere continui o discontinui. Uno dei partner più straordinari di un attore è la musica. La musica, di per se stessa, da i primi segnali di come può essere la situazione in scena.. Durante le prove, entro certi limiti perché se sei troppo libero finisci con il non creare nulla, puoi fare quello che vuoi perché non sai cosa vuoi.

Si deve pensare allo spettatore solo in una fase molto avanzata delle prove, prima occorre elaborare il materiale che gli attori hanno creato. Sul fiume di materiale che gli attori hanno creato arriva infine il regista a costruire dighe.

L’organizzazione di un Laboratorio-Teatrale, per il tipo di relazioni che si instaurano, assomiglia all’organizzazione di un organismo vivente. E’ un lavoro collettivo con caratteristiche biologiche, una fase progettuale ed una fase esecutiva. Il teatro si incarna in corpi umani per cui ha il grande problema della pesantezza, dell’inerzia della materia. Il training, l’apprendistato continuo, va visto come una forma di mutamento continuo. Questo lavoro finisce con il tempo anche per trasformare i processi mentali dell’attore. L’incorporazione da forza all’attore ma è anche il suo pericolo più grande. Servono sempre nuovi modi di pensare al testo, allo spazio, alle relazioni con gli attori. Una vera e propria ossessione della danza e del ritmo, poiché sono principi che contrastano l’inerzia della materia. Servono parole ali, parole che possano volare ed inoltre una spinta continua al mutamento continuo.

Nel Teatro-Laboratorio esiste una profonda differenza tra essere attore (colui che studia come diventare attore) e fare l’attore (colui che produce opere teatrali). Appena finisci con il possedere un’abilità devi subito porti un altro traguardo. C’è un livello dell’attore che sta oltre la sua organicità ed è la sua sincerità. Ci vuole estremo rigore con se stessi per riuscire a recitare animati da un enorme coraggio, valanghe di ironia e di controsensi. Si dice coraggio quando il cuore acquista una sua forma. La storia del teatro diventa il luogo del coraggio e delle possibili alternative. Un gruppo si forma perché uno riconosce istintivamente le persone della propria famiglia. Gli spettatori non si allontano dal teatro perché non capiscono ma perché si annoiano. Il lavoro dell’attore deve essere qualcosa che produce energia e la capacità di sopportare la stanchezza è qualcosa che si acquisisce solo dopo anni di training.

Le idee non durano a lungo. L’unica cosa che dura a lungo è quel verme che c’è dentro di noi, che ci divora in continuazione e non ci lascia mai stare. L’importante è trasformare il più possibile dell’esperienza in coscienza. Il regista deve essere il garante del rigore e della qualità artistica dello spettacolo nei confronti dello spettatore. Gli attori devono essere un grandissimo stimolo per il regista che gli da dei temi, dei punti di partenza, che poi però dovranno sviluppare come loro materiale autonomo. Si deve tagliare il materiale elaborato dal gruppo per preservare ciò che è essenziale per lo spettatore; è questo deve farlo il regista che deve sempre proteggere il gruppo dall’esterno. Le singole persone del gruppo deve acquisire la capacità di reagire all’unisono ma allo stesso tempo devono mantenere una propria forte individualità. Ci piace l’idea di mettere in scena qualcosa di teoricamente impossibile. La magia del teatro può far cambiare le cose nella storia e lasciare un piccolo marchio, qualcosa che stabilisce relazioni fra le persone, relazioni che durano nel tempo. Bisogna fidarsi delle proprie intenzioni e seguirle; finiremo con il fare le cose giuste: agire, creare delle azioni, trasformare la parola, il foglio scritto del copione in azioni.

Nel teatro esiste sempre un problema della trasmissione della comunicazione. E’ importante sapere: cosa vogliamo dire, a chi vogliamo dirlo e in che modo glielo vogliamo dire. Mettere insieme tutte le proprie esperienze e farsi domande che creano altre domande. Un cammino che ci fa crescere e che invece di farci trovare certezze ci fa porre nuove domande e così via. Il regista deve essere il pungiglione che sta dietro al gruppo, che gli impedisce di impigrirsi, deve proteggere il gruppo senza soffocarlo.

Esempio di training

Si sceglie una poesia (mezza pagina) e la si impara a memoria. Si scelgono un paio di melodie e si adattano i versi poi, lentamente, provo a togliere la musica vera e propria e si lascia solo la musicalità delle parole. Il sottotesto di una brano teatrale deve essere sostenuto dalle azioni. Si lavora con la voce associando canzoni, versi di animali. Proviamo ad aumentare e diminuire il volume geometrico di una azione. Si può partire dall’azione vocale per trovare l’azione fisica e viceversa. Quando parliamo sulla tonalità base abbiamo dei sopratoni che danno il senso delle variazioni vocali della nostra voce. Quello che determina il significato di un testo è il contesto in cui lo si attua (costumi, tipo di voce, azioni, parole degli attori, musica e suoni utilizzati). L’unico modo per mettere insieme azione e voce è il senso musicale del tempo ripetendo il lavoro un’infinità di volte. Bisogna trovare un tempo (musicale), un ritmo e un suono della voce e delle azioni che realizzino il seguente percorso: inizio-cambio-fine. Non esiste un solo modo di dire una parola, esistono, al contrario, infiniti modi di dire la stessa parola. La musica deve incontrare la logica di quello che dite in scena. Dovete lavorare affinché il training crei delle associazioni psico-fisiche inscindibili: pensiero-movimento, parlato-cantato, logica-irrazionalità. Dovete creare una partitura dei movimenti che diventi il sottotesto del testo parlato. Quello che fa male alla voce è usarla senza dargli un senso. Se la voce la usi in maniera naturale si autoprotegge. Ricordate infine che uno spettacolo teatrale è come una lettera: quando voi scrivete una lettera e la spedite, non è più vostra, apparterrà per sempre a chi l’avete spedita.

Percorso di lavoro

– scegliere una parola chiave per il proprio lavoro di training

– scegliere un titolo per il proprio lavoro di training

– creare ed eseguire con sempre maggiore precisione le seguenti azioni fisiche:

   a) un modo di camminare

   b) un modo di correre

   c) un modo di lanciare un oggetto

   d) un modo di sedersi

   e) un modo di sdraiarsi

   f) scegliere un verbo (che va tenuto segreto) e trovare l’azione di questo verbo

   g) creare una sequenza che colleghi tra loro in modo organico le singole azioni

– creare dei piccoli gruppi ed eseguire il lavoro svolto di fronte ai membri del gruppo

– insegnare i movimenti delle proprie singole azioni agli altri; ciò ha lo scopo di costringerci ad eseguire i

  movimenti con grande precisione e ci fa capire le difficoltà di un’esecuzione fatta bene; occorre

  osservare il lavoro degli altri membri del gruppo con molta attenzione e cercare di capire cosa piace e

  cosa invece non convince perché l’azione non è viva

– gli elementi del gruppo compongono una melodia con brani di diverse canzoni, rumori e suoni

  assemblati fra loro nel modo che più preferiscono

– creare una sequenza con le azioni dei vari membri del gruppo che ci hanno maggiormente colpito, a

   turno ognuno dei membri del gruppo sta fuori a dirigere il lavoro che viene svolto, infine eseguono la

   sequenza finale con la musica di un altro gruppo

Esercizi

– massaggi di coppia

  (spalle, collo, braccia, gambe, torace, schiena, volto) cercare di far rilassare il più possibile il proprio

  partner e creare confidenza reciproca nel contatto dei due corpi

– massaggi di gruppo

  (il gruppo ideale è formato da cinque persone: una a terra prona e gli altri quattro divisi in due coppie

  ai lati della persona stesa a terra, zone di divisione opposte su braccia e tronco e su gambe e bacino)

  prima i quattro stanno alzati e massaggiano la persona stesa a terra con i piedi (fare attenzione alla

  nuca e alla spina dorsale); poi si stendono a terra stando sulle ginocchia e lavorano con le mani come

  se facessero la pasta della pizza o della torta, poi con le mani a coltello, poi schiaffi leggeri e infine

  massaggi verso le varie direttrici del corpo (soprattutto all’infuori)

– lavoro con i piedi sul terreno (in & out)

– specchi e ombre

   lavoro iniziale di coppia (specchio) poi un terzo partner (ombra di uno dei due, poi dell’altro)

– lavoro con oggetti

  in coppia si trascina un oggetto qualunque (ad esempio una bottiglia di plastica vuota) nello spazio

  senza farlo mai cadere, il lavoro può essere ripetuto aggiungendoci altre persone nel trascinamento

– rana: piegati a mò di rana saltare verso l’alto allargando braccia e gambe facendo uso della voce (ah)

– voce: molleggio sul posto (ah) dapprima leggero poi con balzi sempre più grandi (aumentare

   gradualmente il volume della voce); “bleah” (lingua sul palato e poi fuori); uso di lingua e labbra per

   emettere dei suoni tipo: “rvv”, “bvz”, “mngn”, “chchp”, “sssbum”, “tapum” ed altri ancora

di Marco Galati – E mail galbrus@libero.it

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